OGNI ALBERO E' UN POETA

Tiziano Fratus – “Ogni albero è un poeta”, Mondadori 2015 – 17 euro

Tiziano Fratus con questo libro si pone nella scia di autori anglofoni naturalisti di oggi e di ieri (Wordsworth, Thoreau, Lopez, Deakin, Sebald, Macfarlane e tanti altri). Diario poetico di osservazioni e riflessioni naturalistiche, raccolte durante le sue passeggiate. Molto spesso il terreno di osservazione in cammino sono i boschi dietro casa, nelle Terre Alte delle Alpi piemontesi. Altre volte Fratus posiziona la tenda nella natura e comincia a esplorare. In cammino la sua mente vaga, e le osservazioni portano a parlare di ere geologiche antiche, di animali estinti, o di ricordi di bambino alle prese con insetti o con giochi nei ruscelli.

Il camminare è lo strumento, per osservare, pensare, poetare:
“La straordinaria bellezza del camminare in una selva ti porta a curiosare in ogni forma di sapere umano. L’art’. La silvicoltura. La geologia. La botanica. La zoologia. L’ornitologia. La storia dell’umanità. Allunghi l’occhio e un dito: segni un punto preciso e si apre una parentesi che contiene una storia.”


Questo stralcio sembra il manifesto programmatico di Fratus, l’Uomo Radice che con questo libro si è fatto Silvano, viandante delle foreste, e la sua scrittura, fatta di frammenti di poesia naturalistica, si è fatta adulta. Il libro poi è ricco di informazioni scientifiche, piccole lezioni “a scuola di natura”.


Ma leggiamo un brano per vedere come Tiziano Fratus vede il cammino:
“Nell’antica e annebbiata Età di Mezzo le vie che univano i mondi erano vie di fede, lastricate di pietre e buone intenzioni. Torme di disperati, di viandanti, di poveri Cristi dell’ultim’ora, di predicatori senza un soldo, di cavalieri solitari, percorrevano queste strade che conducevano a Roma, a Canterbury, alle porte di Gerusalemme. I peregrini percorrevano le quaranta giornate che accompagnavano a Compostela (…) per farsi riconoscere portavano una conchiglia ricamata sulle vesti (…). Prima di partire si faceva testamento, si ascoltava una messa e si ricevevano la benedizione e il salvacondotto. La morte poteva sopraggiungere per le più svariate ragioni.
Secoli dopo, figli di questi viaggiatori del pensiero e della parola, sono arrivate nuove tribù di nomadi che sciamavano come api a piedi o a dorsi di animale. Viviamo ai tempi della prima rivoluzione digitale, l’interconnessione alla rete è un dovere civico. Eppure viandanti, camminatori che fanno di una passione un mestiere e/o una filosofia di vita attraversano gli stati a piedi, i continenti, le grandi foreste e i deserti, evitano le città (…). Parlamentano attraverso castagneti dismessi, e visitano paesi morti, dove i tetti non servono più a nulla e l’esterno si mescola all’interno. O viceversa.”

Le cose importanti della mia vita non sono cose